Ing. Gianluca MARRONI

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PNRR e P.A.

In risposta ad un’intervista di Marco Carlomagno su Linkedin https://www.linkedin.com/posts/marcocarlomagno_pnrr-che-fare-parliamone-conversazione-activity-6861268123102797826-Jscq/

Sono molto preoccupato per un buon utilizzo del PNRR. Per prima cosa, i fondi di cui parliamo sono in gran parte da restituire (debito, insomma) e la valutazione relativa allo stato di avanzamento dei progetti effettuata dalla Commissione Europea sarà obbligatoria per l’erogazione degli ulteriori fondi.

Premetto che ogni volta che leggo un articolato di legge, rimango sempre più stupito dall’incapacità di scrivere da parte di chi ci si aspetterebbe un’assoluta padronanza della lingua italiana, della logica, della semantica della lingua italiana e della sintassi. Forse ciò è il prodotto di una scuola assolutamente inadeguata a raggiungere i propri scopi ed esula da queste mie considerazioni.

Per quanto riguarda il PNRR e la P.A.

Abbiamo preso degli impegni con la Commissione Europea per realizzare una rivoluzione della Società Italiana apparentemente fantastica ma in realtà fantasiosa. Faccio alcuni esempi, ricollegandomi ai punti sviluppati dall’ex-collega:

Manca una strategia di lungo termine.

Al termine del periodo di applicazione, quale sarà il modello di Società che ci aspettiamo? Sarà un modello basato sulle tecnologie di avanguardia (come la Cina e Singapore)? oppure sarà una società basata sui servizi (come Gran Bretagna e Svizzera)? oppure sarà una società basata sulla manifattura (come la Germania e gli Stati Uniti)? oppure sulla manovalanza edile (come l’Italia degli anni 50, il sudest asiatico e i paesi dell’Est Europa)? oppure sui bonus e sulla clientela (come l’Italia del 2021 e del 1892)? Può sembrare una domanda oziosa, ma la Pubblica Amministrazione, della quale ho fatto parte lungamente ed orgogliosamente) non può essere distaccata dalla Società e il suo funzionamento non può esserne avulso. La mia prima critica, riguarda quindi l’erogazione dei fondi PNRR alle regioni e ai comuni, la dispersione in mille rivoli che sfociano immancabilmente nella progettazione di micro-interventi finalizzati a far lavorare l’imprenditore locale amico/sostenitore dell’amministratore. Sarebbe stato bello se, invece di andare a pietire crediti a Bruxelles sperando nell’assistenza di Sassoli e Gentiloni, ci fossimo dedicati a risolvere questo problema.

L’informatica nella P.A., l’anzianità del personale e la scarsa formazione.

Portavo i calzoni corti (beh, non proprio!) quando il Prof. Bassanini disse: “è ora che il cittadino smetta di fare il postino per la Pubblica Amministrazione”! Sono passati 25 anni e ancora stiamo dicendo le stesse cose. Quando cominciai la mia collaborazione con l’AIPA, conducemmo, su impulso del Prof. Guido Maria Rey e con il coordinamento dei Proff. Carlo Batini e Sergio Lucarelli, uno studio per valutare se le capacità elaborative delle Pubbliche Amministrazioni potessero essere gestite più efficacemente in maniera centralizzata. Siamo ancora nelle stesse condizioni (Cos’altro è il decantato Cloud della P.A. se non la riedizione di quella domanda?) eppure sono passati ventisette anni. Mancavano le teste o le professionalità? No, allora come oggi le professionalità c’erano e le teste anche, solo che l’intralcio arrivò dalla feroce difesa condotta da ogni piccola repubblica (pardon, amministrazione) del suo piccolo feudo, con l’impossibilità di colloquiare tra repubbliche, di utilizzare in comune le risorse, le teste e le professionalità. Si sono create decine di autorità i cui regolamenti e pareri sembrano fornire più un motivo ostativo alla realizzazione dei progetti. Prendiamo ad esempio l’anagrafe nazionale (già alla fine del secolo precedente i computer dell’INPS, dell’INAIL e dell’Agenzia delle Entrate -che ancora non si chiamava così- erano collegati in rete ma non cooperavano). Ebbene, si sbandiera l’anagrafe nazionale come un grande successo, anche se ancora sono in attesa del mio cambio di residenza dopo 40 giorni dalla presentazione della domanda… Caso personale, è vero. Ma quanti di noi sono incorsi in un problema di questo tipo in questo periodo in cui tutte le inefficienze dei dipendenti della P.A. sono state imputate al COVID e allo smart-working? Per quanto riguarda formazione e anzianità del personale, non posso che dissentire. La formazione si fa, eccome, nella P.A.. Piani fantasmagorici di formazione manageriale. Team Building, Comunicazione, bla, bla. Poi si scelgono come docenti non i più bravi ma i più ammanicati e si inviano non chi ne ha bisogno ma coloro di cui non si noterà l’assenza in ufficio. E, soprattutto, si escludono dai progetti più avanzati le persone che hanno superato una certa età perché si pensa -erroneamente- che una persona non sia in grado di mettere in pratica nuovi strumenti o pratiche superata una certa età. Insomma, non è vero, a mio parere, che “non si insegna un gioco nuovo ad un cane vecchio”. Un piccolo esempio personale, direttamente dall’etologia: il mio gatto Tigro (11 anni) era diventato molto Garfield, dormiva dalla mattina alla sera, ciondolava stancamente per casa. Ci hanno proposto di adottare una cuccioletta che altrimenti sarebbe dovuta finire in un gattile. Il suo arrivo nella nostra casa è stato letteralmente un elisir di giovinezza: ha ripreso a giocare, ad esplorare e a correre come qualche anno fa. Certo, questo è stato dovuto all’arrivo di un nuovo soggetto ma questo nuovo arrivo non ha certo fatto sì che Tigro sia stato emarginato…

Lo smart-working, la legacy ed il controllo orario

Partirò dalla coda. Vi sono dei lavori che non possono che essere fatti in contemporanea e nello stesso luogo. Punto. Non si può fare un’udienza penale se non si guarda in faccia l’imputato. Non si può costruire una macchina montando i fari Bologna ed i freni a Bari. Per cui il controllo orario per rilevare la presenza sul posto di lavoro è in certi casi indispensabile. Ed altri in cui la presenza è addirittura un intralcio. Che senso ha -per puro esempio- che un funzionario si rechi in ufficio per chiudersi nella propria stanza e redigere una atto che avrebbe potuto redigere altrettanto bene da casa? La presenza concentrata sul posto di lavoro deriva spesso da più cause:

la solitudine del manager: in ambienti in cui -come nella P.A. e in altre strutture grandiose- si fa prevalentemente carriera prevalentemente per cooptazione, il manager-dirigente vuole avere sotto controllo l’operato dei suoi collaboratori;

i problemi di legacy: la P.A. non è una startup e tantissime informazioni (la legacy) possono essere reperite solo in forma cartacea e solo presso il posto di lavoro. Per cui il lavoro in presenza è indispensabile;

il rapporto con l’utenza: a volte il rapporto diretto con l’utenza è obbligatorio e il task relativo non può che essere svolto in presenza. Peccato che nella stragrande maggioranza delle amministrazioni, non si conoscano quali siano processi da eseguire in presenza e quali siano invece candidabili per l’esecuzione da remoto…

corruzione/protezione dei dati: la storia (quella con la s minuscola, ci ha insegnato che le pratiche autorizzative possono stimolare processi di correzione/concussione. Può essere imprudente lasciare gestire da remoto il rapporto con l’utente. Così come può essere rischioso lasciare gestire processi da remoto senza le adeguate cautele (chi altri può gettare uno sguardo sui dati? è stata verificata l’assenza di conflitti di interesse? a la sicurezza informatica è garantita? se porti a casa del cartaceo e per qualche ragione lo perdi, cosa succede?).

In conclusione (e sperando di avere torto), in mancanza di una seria, assoluta ed indefessa volontà di cooperare per la rinascita di questa nostra Società, il PNRR è destinata solamente a lasciare incompiuti una quantità di progetti e a creare una voragine di debito per le future generazioni…

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