Ing. Gianluca MARRONI

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FormazioneProfessionale

La nuova normalità? Più in presenza e più digitale

Il rettore dell’università Bocconi ha oggi pubblicato un interessante articolo sul Corriere della Sera che riporto:

Più fisico e più digitale. Così sarà il mondo nel nuovo normale, contrariamente a quanto ci portano a pensare i sostenitori dell’una o dell’altra fazione. L’accelerazione straordinaria che la pandemia ha dato alla quarta rivoluzione industriale ci obbliga a ridefinire le nostre relazioni sociali, scolastiche e lavorative nel nuovo normale, coniugando il meglio dei due mondi.

Certamente dopo la sbornia di digitale, occorre un ritorno alla normalità sociale. Basta Dad e smart working, quest’ultimo da qualcuno cinicamente soprannominato «clever» working (cioè lavoro «furbo», anziché «intelligente») da altri più sarcasticamente smart «holidays». Basta imbruttirsi per ore sui social: torniamo a vivere una vita pienamente normale fatta di relazioni e contatti fisici!

Eppure questa posizione stride con il comportamento degli investitori di lungo termine, che invece stanno veicolando ingenti risorse nel mercato della cosiddetta Edtech, il settore dell’istruzione in cui proliferano scuole e università interamente on line. Si contano più di 4 miliardi di dollari di investimento nel 2020. Sembra anche incoerente con l’analogo trend esponenziale sull’investimento nei nuovi social (da Telegram a Clubhouse) e nelle piattaforme di connessione digitale (Zoom che ha raggiunto lo scorso ottobre 140 miliardi di dollari in market cap ha dato vita a un vocabolo corrente «zooming» analogamente a «googling»). Questi investitori, che raramente sbagliano ad allocare i capitali, credono a un futuro ancora più digitale di quanto stiamo già vivendo durante la pandemia.

Chi ha ragione? Come dice il saggio adagio: la verità sta (quasi sempre) nel mezzo. In coda alla vaccinazione di massa, vivremo un futuro ibrido, un futuro che impiega il valore impagabile della presenza fisica e lo saprà coniugare con l’efficacia (cioè la capacità di fare la cosa giusta) e l’efficienza (di farla cioè bene e a basso costo) che il digitale porta con sé.

Partiamo anzitutto dall’evidenziare che la tecnologia non rappresenterà un vincolo, come in parte è stato in passato e in questo lungo anno in cui alcune aree di Italia erano mal connesse e in cui alcune famiglie non erano dotate di strumenti adeguati. L’evoluzione esponenziale della capacità degli strumenti con chi ci connettiamo e del concomitante abbattimento del loro prezzo, associata al potenziamento della rete 5G che grazie al Pnrr porteremo a casa, forniranno l’autostrada su cui informazioni e relazioni potranno circolare liberamente e a costi limitati.

Pensiamo quindi al lavoro. Quanti viaggi inutili, e qualcuno direbbe oggi «e con che impatto sull’ambiente!». Quante riunioni convocate in presenza inutili, quando con Zoom potevamo allinearci tutti assieme in cinque minuti, senza alcuno spostamento e con un guadagno di tempo straordinario. Quante ore lavorative verso tarda sera inutili, le ore in cui le famiglie non hanno magari il supporto di scuola o di assistenza domestica e costringono uno dei genitori (leggasi la mamma) a tornare a casa e a sacrificare quindi la carriera professionale perché il capo (sostantivo in maschile non a caso) non la vedeva in giro. Sfruttare il digitale per rendere più efficienti questi momenti sarà parte fondante del nuovo normale.

Che non significa però vivere solo di digitale. A differenza di Dorsey di Twitter che ha aperto a contratti ad libitum in smart working per il 50% dei dipendenti, il Ceo di Google, Sundai Pichar ha appena annunciato 7 miliardi di investimenti in immobili per uffici perché «la cultura organizzativa, l’identità di un’azienda si forma in presenza». Il digitale non è un sostituto. Il digitale non deve togliere: deve efficientare e potenziare. Deve completare e aggiungere.

Esattamente come nel caso dell’istruzione. L’apprendimento è anzitutto in presenza. L’affiancamento del discente con il maestro rappresenta dai tempi degli antichi greci la normalità dell’istruzione. Stare in classe è fondamentale per trasferire sapere, creare cultura e per saper abituare alla formazione dei legami sociali. Bene quindi che Mario Draghi abbia dato priorità alla riapertura della scuola: finalmente il capitale umano al primo posto. Ma usare il digitale non significa negare tutto ciò.

Il digitale permetterà di preparare bene la lezione fisica prima che vada in onda, con magari compiti personalizzati ai singoli studenti sulla base delle loro predisposizioni, e di farla continuare quando è finita, continuando a lavorare con ciascuno di loro sulla base degli interessi che maturano durante la lezione e sfruttando la sterminata conoscenza che l’oceano di internet contiene. Il digitale permette di segmentare l’aula ed evitare che sia trattata come una media aritmetica. Esattamente come sta avvenendo nel campo del retail che da più di venti anni conosce bene il digitale, i negozi al dettaglio, che stanno cambiando pelle per l’impiego del digitale. In questo settore l’ibrido prende il nome di Phygital — mischiare il fisico con il digitale — per dare un senso ancora più completo alla nostra relazione commerciale.

In questi ultimi mesi di Dad e smart working cerchiamo di pensare come impiegarli efficacemente e in modo ibrido quando torneremo in presenza. Così facendo, non solo eviteremo una inutile retorica che guarda il futuro con lo specchietto retrovisore e spianeremo le porte alla società del futuro.

Riguardo a questo articolo, sono permesso di commentare:

Da quando mi sono interessato alla formazione professionale mi chiedo: “per quale motivo ogni giorno tantissimi professori, con maggiori o minori capacità didattiche, vanno contemporaneamente in cattedra per cercare di insegnare gli stessi argomenti?”

E: “perché tanti professori impegnano il loro tempo scopiazzando su internet per preparare una lezione”.

Credo che dovremo anche rendere più effettivo il motto: “don’t reinvent the wheel”.

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