Ing. Gianluca MARRONI

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PersonaleRiflessioni ad alta voce

Stiamo diventando tutti accumulatori seriali?

di Daniela Natali – Corriere della sera

Che ci siano persone che non buttano mai nulla, dai vestiti inutilizzati da decenni, a documenti oramai obsoleti, a pezzi di «non si sa più che cosa», fino a rendere inagibili box e cantine, oppure interi appartamenti, è noto. Anche se è da (relativamente) poco che questa «mania», come verrebbe da chiamarla, è entrata nei Disturbi psichiatrici riconosciuti nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders .

La ricerca

Della questione si è occupato Nick Neave, professore di psicologia e direttore del Gruppo di ricerca sull’accaparramento della Northumbria University di Newcastle, partendo dall’analisi di un caso, riportato qualche anno fa, dal British Medical Journal in cui si descriveva la vita di un uomo di 47 anni che, oltre ad accumulare oggetti reali, scattava diecimila foto digitali ogni giorno e passava il tempo a copiarle e archiviarle su dischi rigidi esterni, col risultato di peggiorare lo stato di ansia legato alla sindrome autistica di cui era affetto. Sarebbe facile leggere questa situazione come una delle tanti possibili conseguenze di un disturbo autistico e non come una patologia a sé stante, ma non è così.

Il disturbo

Spiega Giancarlo Cerveri, direttore dell’ Unità di Psichiatria, dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Lodi: «Il disturbo da accumulo nella versione “fisica” è spesso misconosciuto perché chi ne soffre non prova una sofferenza tale da sentire il bisogno di chiedere aiuto. La situazione si fa critica solo quando tutto esplode: la casa diventa ingestibile e invivibile. In questi casi a segnalare il problema sono spesso i conviventi esasperati (ammesso che ce ne siano perché l’accumulatore seriale ha spesso una vita solitaria), i familiari o addirittura l’Ufficio di igiene perché non sempre e non tutto il materiale raccolto è «non deperibile». Ancora più difficile riconoscere il disturbo per chi accumula informazioni su dischi rigidi di memoria, dalle capacità enormi».

Prescindendo dal modo, reale o virtuale, con cui si accumula, perché alcune persone si comportano in questo modo?Si affezionano sentimentalmente a quello che raccolgono?
«Cominciamo col dire che stiamo parlando di persone spesso schive, con una vita sociale e affettiva ridotta, ma con una capacità di giudizio integra: spesso comprendono l’irrazionalità del loro accumulo ma non riescono a porvi limite. I loro comportamenti non indicano però che stiano sostituendo gli affetti reali con gli oggetti collezionati. Cominciano frequentemente ad accumularli secondo una certa logica, tanto che in questa fase il disturbo non viene riconosciuto dai familiari. In seguito logica e comprensibilità tendono a cadere: il materiale diventa troppo, tanto da invadere la vita del soggetto».

Accumulatori si nasce o si diventa?
«La tendenza compare già in giovane età, ma si sviluppa solo quando si hanno maggiori spazi di libertà. Il tema che accomuna tutti gli accumulatori seriali è quello del controllo. L’impressione di avere tutto quello che si vuole a disposizione, sia pur in un modo caotico (e che finisce con il tradursi nell’impossibilità di trovare ciò che si cerca) almeno temporaneamente tranquillizza. È un po’ quello che accade a chi soffre di dismorfismo: non si trova mai abbastanza attraente e ricorre a continue diete e interventi estetici. Per breve tempo è soddisfatto, ma poi ricomincia».

Può essere vero che, lungi dal fare un favore a se stesso o all’azienda per cui si lavora, non buttando mai un’informazione, l’accumulatore rischi invece di aprire le porte ad hacker che sono a caccia di notizie riservate?
«Povero hacker, nel caos di un accumulatore seriale informatico si perderebbe immediatamente e senza speranze».

E che dire dell’accusa che gli accumulatori digitali contribuiscano all’inquinamento?
«Certo un aumento del bisogno di grandi server per lo stoccaggio della memoria richiede un parallelo considerevole incremento dell’energia per mantenerli funzionanti, ma non è tanto il singolo o i singoli – e comunque non si tratta di masse di persone – a essere diventato un accumulatore digitale: credo che il problema dell’accumulo spaventoso di informazioni digitali riguardi l’intera specie umana. L’uomo da sempre tenta di conservare le proprie memorie e un hard disk è più funzionale allo scopo di un papiro, ma forse meno resistente di una tavoletta di argilla. Quelle dei Sumeri sono sopravvissute per più 5 mila anni. A che cosa poi potranno servire tutti i dati registrati grazie ai mezzi informatici che per le loro grandi capacità, direi per la loro stessa natura, non impongono scelte, resta ancora tutto da capire».

L’accumulatore si può curare?
«Se arriva da noi con una motivazione sufficiente lo si può aiutare. Spesso però la terapia cognitivo-comportamentale viene difficilmente accettata dal paziente, che non si sente tale e quindi oppone una fiera resistenza all’idea di doversi disfare, anche solo in parte, dei propri beni; si può intervenire anche con dei farmaci, come gli inibitori della ricaptazione della serotina, ma ovviamente anche in questo caso serve avere la collaborazione della persona, e i risultati degli interventi farmacologici non sono pienamente soddisfacenti da soli».

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